Questa mattina stavo leggendo un saggio di Galen Strawson (si trattava di Quel che resta dell’Io, ma in reltà non è importante). A un certo punto Strawson cita il “vecchio esempio” di Locke secondo il quale la condizione necessaria e sufficiente per sapere cosa vuol dire “mangiare un ananas” è “mangiare un ananas”. Siccome io non sono uno specialista di Locke sono rimasto un pochino perplesso per questa formulazione (non mi sembrava tanto nello stile di Locke) e ho voluto controllare. Mi sono ricordato senza nessun particolare difficoltà che posseggo una copia del Saggio (un bellissimo libro, tra l’altro, edito da UTET) e che questa copia si trova stabilmente in salotto, nel ripiano della libreria dedicato ai libri della UTET (in seconda fila, è vero: davanti ci sono i Meridiani Mondadori). Io invece erno in studio: quindi mi sono alzato, sono andato in salotto, ho tirato fuori il libro e basandomi sulle precise indicazione di Srawson ho ritrovato il paragrafo che cercavo (scoprendo, come sospettavo, che la formulazione di Locke è molto più semplice e soprattutto incidentale: “se un bambino… non ha gustato un ostria o un ananas non può avere l’idea di queste leccornie”. Locke, Saggio sull’intelletto umano, UTET, pag. 136).
Ma la cosa che mi ha colpito è che tutta casa mia in questa circostanza ha funzionato come un computer: la CPU (il sottoscritto), posizionata in un certo punto fisico della casa (lo studio), ha richiamato una certa informazione che fisicamente risiedeva in un altro punto della casa (il salotto). Non avevo “in mente” quella citazione (non conosco a memoria Locke); però evidentemente avevo una qualche “label” collegata a Locke e al suo libro, e questa label conteneva le informazioni necessarie a recuperare le altre informazioni, grazie alle istruzioni che mi aveva fornito l’imput esterno (la stringa di testo di Strawson, ben formattata, che non era altro che la citazione corretta della fonte).
Ma si può girare la cosa anche nell’altra direzione: ossia che i computer, in realtà, non fanno altro che riprodurre (molto più velocemente) le stesse procedure della mente umana.
E’ ovvio il punto critico di questa descrizione: quando ho letto il nome “Locke” “mi è tornato in mente” il fatto che posseggo il suo libro e che il libro si trova in salotto. Ora, cosa è successo esattamente in quel momento? Non ho avuto coscienza di aver passato in rassegna un catalogo, per quanto breve; questo è sicuramente il modo di funzionare dei computer, che passano ogni volta in rassegna OGNI loro informazione fino a quando non trovano quella giusta. Io no. Almeno, non ne ho avuto proprio consapevolezza. Il lavoro è stato compiuto da una parte “nascosta”, “segreta”, “inconscia” di me e poi il risultato di questa ricerca mi è stato presentato bell’e fatto? Possibile, anche se mi sembra una soluzione troppo plasmata su quella della macchina. Ammetto che l’alternativa sembra essere una capacità “magica” (ossia “istintiva”, “naturale”) di far saltare fuori questi contenuti di memoria dalla nsotra “memoria allo stato solido” e questo mi lascia a disagio (la “magia” come l'”istinto”mi sembrano sempre la scorciatoia che prendiamo quando non sappiamo dare una spiegazione)